“I passeggeri che arrivano all’aeroporto di Fiumicino dovranno confrontarsi con i superseni di una ragazza…” inizia così un vasto articolo del Financial Time di poco tempo fa che parla delle strategie di comunicazione adottate dalle aziende italiane. Già, quello che urge sottolineare non è tanto il vecchio rimedio del ricorrere a immagini hot o comunque prorompenti per far breccia sull’affollato spazio percettivo del passante o del lettore ( di cui abbiamo già discusso), ma il fatto che questo succede in maggior misura in Italia, quella che si definiva la terra dei creativi.

In Inghilterra o in America, campagne definite moderne o “sexy” dalle agenzie pubblicitarie nostrane, sono considerate superate, old style: Adrian Micheals, corrispondente da Milano della celeberrima testata, prosegue spiegando che “il viaggiatore in arrivo da altri paesi, soprattutto Inghilterra e Stati uniti trovano questo stile di comunicazione davvero arcaico”, d’altra parte, osserva sempre Micheals, intervistando il ministro Emma Bonino, l’Italia è pur sempre il paese che dal ’76 (apogeo del femminismo italiano) ha mantenuto la stessa esigua quota femminile nel Parlamento (11%) e che per mantenere l’attenzione anche nella seriosa politica ci si è dovuti buttare sulla provocazione (Cicciolina? Le autoreggenti della Meandri? I trans?).

In Italia le foto di superseni e centimetri di nudità sembrano modernissime e attirano sempre l’attenzione, in Gran Bretagna invece, dove da trent’anni i quotidiani tabloid pubblicano seni in prima pagina, nessun pubblicitario oserebbe proporre una cosa tanto “banale”, ovvio che anche lì usano il corpo di belle donne per la pubblicità ma qui da noi, bisogna ammetterlo, lo si usa per pubblicizzare qualsiasi cosa perché alla fine, haimè, nessuno protesta.

Non mi definisco assolutamente una femminista ma dispiace pensare che il mio paese non sia al passo con la frontiera pubblicitaria dei paesi occidentali e poi, a ben pensarci, corpi tanto perfetti quanto plastici, ho l’impressione che stiano perdendo di fascino, o sbaglio?

Il dilemma sta allora nel chiedersi se siano i creativi poco fantasiosi o se è la domanda che non è ancora pronta ad un cambio di rotta e si “accontenta” di lasciarsi persuadere da messaggi ammiccanti e sornioni che non richiedono uno sforzo creativo maggiore. Io propendo per la seconda opzione e credo che la soluzione a questo possa venire solo da un accrescimento culturale diffuso che vede nella pubblicità solo “la ciliegina sulla torta” ma che, a modello dei paesi citati, preveda un aumento dell’istruzione, della lettura e della partecipazione ad eventi creativamente preganti. Siete d’accordo?