Da qualche tempo mi capita di riflettere sul tema della comunicazione. E’ materia che ho studiato quindi si presume che la sappia dominare eppure in qualche occasione mi capita di non riuscire a creare un terreno in comune con il mio interlocutore.
Apparentemente niente è più semplice del comunicare. Lo facciamo sempre: basta un cenno per capire se è sì o è no, il significato di una parola della nostra lingua ci è chiaro ed evidente e diamo un significato ad una frase o a un gesto e siamo sicuri che l’altro lo capirà.
Ma vediamo meglio. Qualsiasi forma di comunicazione ha bisogno, per essere efficiente, dei seguenti elementi: l’utilizzo di un protocollo comune (dare lo stesso significato alle parole), l’assenza di disturbi (esempio: il rumore presente intorno a noi) e ovviamente un elemento trasmittente e uno ricevente, nonché un mezzo che risulti idoneo a veicolare le informazioni.
Sembrano cose scontate ma non lo sono, tant’è che molte interazioni incontrano una serie di difficoltà che molto spesso generano delusioni, ferite e la riluttanza a tentare ancora.
Quindi il problema presenta due aspetti: non è sufficiente trasmettere bene, occorre anche imparare a interpretare adeguatamente i segnali che pervengono a noi. In altre parole: occorre saper parlare, ma, forse è banale, è anche necessario saper ascoltare.
Fermarci allora e accordarsi su una reciproca disponibilità a confrontare i significati delle parole è la prima cosa da fare. Senza questo è molto meglio tacere, non inquinare l’ambiente con segnali sparati a caso e quindi non comprensibili, e dedicare tempo ed energie a scopi più costruttivi. Continuo a credere che la persona più capace non sia tanto quella che, isolata nel mondo delle idee platoniche raggiunge per sé verità infinite, ma colui che sa, a piccoli passi, trasferire conoscenza comprensibile a quante più persone possibili.
Il problema dei protocolli, in effetti, si fa sempre più pressante poiché è determinato dalle differenze culturali e dall’esperienza individuale, e complicato enormemente dal caos di informazioni che ci arrivano dai media.
Il problema lo viviamo ogni giorno quando ci troviamo in relazione con gli altri e viviamo la comunicazione un po’ come una sofferenza (“Non volevo dire questo”, “non sta capendo quello che dico”..); se questo vale nelle relazioni tra persone, tutto si aggrava enormemente (per noi markettari) quando il messaggio è veicolato dai mezzi (cartelli per le affissioni, radio per gli spot, banner per il pc..)
Quello della distanza e culturale (e di competenza linguistica) credo sia un problema che sempre più dovremo tenere in considerazione nel contesto attuale che vede molteplici popoli, razze e culture, ma anche ambiti di specializzazione settoriali diversi, interloquire tra loro.
Forse la soluzione potrebbe essere la targettizzazione estrema ma così facendo penso si perderebbero molte sfumature linguistiche e potenzialità comunicative, d’altro canto farsi capire da tutti risulterà sempre più difficile. Che ne pensate?

Ilaria